venerdì 2 marzo 2018

Ci vuole rispetto nelle parole e nei fatti!


Sono giorni che scrivo e cancello i miei pensieri. Scrivo e ripenso. Ripenso, scrivo e, poi, cancello tutto. Vorrei tanto dimenticare quelle immagini, ma non ci riesco. Vorrei tanto si fosse trattato solo di un incubo, ma la realtà è, ahimè, un’altra.
In questa campagna elettorale, la più brutta della storia per mia memoria, e nella quale non entro, volutamente, nel merito, è entrata come un fulmine una notizia che mi ha fatto accapponare la pelle.
Le immagini di un’insegnante, badiamo bene, un’educatrice dei nostri figli, dei nostri nipoti, che augura la morte ai poliziotti e che inveisce contro la divisa, esternando le frasi più assurde, ha dell’incredibile.
Un docente dovrebbe insegnare la non violenza. Dovrebbe educare i piccoli al bene, alla pace al rispetto per le forze dell’ordine. Non ho visto tutto ciò in quelle immagini. Ho percepito solo rabbia, odio e disprezzo.
In un altro post, pubblicato nelle settimane scorse, riferendomi al ferimento di un carabiniere, durante una manifestazione, ho parlato di mancanza di rispetto, di cultura storica.
Ma come si può oltraggiare una divisa? Come si può deridere e schernire uomini e donne che lavorano, operano, vivono e indossano quegli abiti tutti i giorni per proteggerci?

Qualcuno potrà dirmi che sono di parte. Si.... lo sono. 
Sono figlia dell’arma e me ne vanto. Ho rischiato di perdere mio padre in servizio. So cosa vuol dire aspettare che torni a casa dopo una giornata di lavoro insieme ai suoi ‘’Angeli’’, (così amavo chiamarli da piccola).
So quanta abnegazione, quanto lavoro e quante nottate hanno portato lontano il mio papà da tutti noi. Nonostante ciò l’ho sempre ammirato e continuo a farlo con abnegazione e amore filiale.
Cara professoressa (adesso parlo io in prima persona) sotto quella divisa da lei tanto disprezzata ci sono uomini e donne che operano con sacrifici e immensa passione, amore e umiltà verso i più deboli.

Nei giorni scorsi, ho letto due lettere. Mi sono immedesimata in questi due ragazzi. Ve le ripropongo, nell’auspicio che si capisca, finalmente, che non si può più oltrepassare il limite. Ci vuole rispetto nelle parole e nei fatti!

Il primo scritto è di Michele Fezzuoglio. Nel 2006, aveva solo sei mesi quando il padre Donato, Carabiniere Scelto, fu ucciso nel tentativo di sventare una rapina. Il piccolo, venuto a conoscenza dell’augurio di morte rivolto da un’insegnante di Torino alle forze dell’ordine, ha scelto di rispondere con una lettera pubblica.

“Buonasera prof, mi chiamo Michele, non le nascondo che sono un po’ arrabbiato con lei. Oggi le faccio conoscere qualcosa di me e del posto dove vivo. Mi stringa forte la mano, ci troviamo ad Umbertide esattamente in via Andreani, si guardi intorno, osservi com’è tranquilla la cittadina. 12 anni fa alla sua destra c’era una banca, scattò l’allarme per rapina, arrivò la pattuglia del 112, i due carabinieri corsero in aiuto a cittadini in pericolo. Alcuni rapinatori rimasti fuori spararono alle spalle di papà e morì. Mi stringa la mano e si guardi intorno, li c’è una targa con delle corone, lì invece una fioriera voluta da tanta gente di cuore con disegnato il tricolore. Venga andiamo in via xxxxxxx, in questa casa ci abito con la mamma, la osservi, sopra quel mobile c’è un berretto, lo stesso che era sopra la bara avvolta nel tricolore il giorno del funerale di mio padre, guardi quante foto, attestati ed encomi, sono tutti di mio padre, li ha ricevuti sia in vita che dopo. Senta anche che silenzio, se ci fosse stato papà sarebbe stata una casa rumorosa, avrei avuto un fratello o una sorella o entrambi. Venga prof, le faccio vedere dove dormiva mio padre, il suo armadio, le sue cose. Guardi queste scatole, sono piene di lettere, scritte da tanti Italiani per dimostrare affetto a mio padre, all’Arma dei Carabinieri alla mia famiglia, ma soprattutto a me che allora avevo solo 6 mesi. Ora la porto nella mia seconda casa. Ci dobbiamo spostare di qualche chilometro, nella zona dove abitano i miei nonni materni. Mio padre diceva che in quei posti c’era pace. Intanto lei osservi quanto è bella la mia Umbria. Siamo arrivati, si è resa conto che siamo in un cimitero? Eccola la mia seconda casa. Ora le racconto alcuni episodi, avevo 4 anni e mezzo quando ho imparato a leggere i nomi scritti in stampatello sulle lapidi dei defunti. Qui sono arrivato in bici per mostrarla a mio padre, ancora, le dirò di quando sono entrato con 2 papere, con il cane, ho portato disegni e oltre i fiori porto regali. Prof ora le chiedo di poggiare la sua mano su questa tomba, pensi il freddo delle mie labbra quando bacio papà. Quante cose avrei da raccontarle prof, faccio tanti chilometri in giro per l’Italia per parlare di lui, faccio tanto fatica a scuola quando in alcuni periodi sento di più la sua assenza, fortuna i suoi colleghi insegnanti capiscono quell’alunno che a volte si distrae per non piangere o che ride per soffocare un brutto pensiero. Basta prof, la lascio tornare a casa, nel tragitto rifletta della lezione noiosa. Quando è arrivata guardi negli occhi suo padre e lo abbracci….Intanto io scrivo al Ministro, non per farla punire, ma per darle dei consigli. Vorrei mai più manifestazioni che incitano violenza, chi parla dovrebbe evitare parole che uccidono quanto quel proiettile di kalashnikov sparato alle spalle di quel carabiniere che per me voleva un mondo a colori…. Arrivederci prof…Buon rientro”.

L’altra missiva è stata scritta da una ragazza, figlia di un poliziotto.

“Cara professoressa, ti parla la figlia di un appartenente alle forze dell'ordine. Tu che gli urli "dovete morire", vedi ogni volta che mio padre si allaccia gli anfibi e si chiude il cinturone ho davvero paura che qualcuno lo faccia morire. Forse tu non sai cosa vuol dire. Tu non sai cosa vuol dire vivere di turni, vivere di imprevisti, di compleanni in cui nelle foto ci sono tutti: tranne lui. Del pranzo di Natale che diventava freddo a forza di aspettarlo. Del cuscino vuoto accanto a mia madre. Del freddo, del sonno, del sangue sulla strada, degli insulti che gente come te ogni giorno rivolge a chi indossa una divisa. Cara professoressa, hai mai provato ad accarezzare la stoffa della giacca di un poliziotto o di un carabiniere? Sai non è di un cotone morbido, non è il lusso che tutti credono che lo Stato regali a quegli uomini e a quelle donne in divisa. Cara professoressa, tu sai che mentre auguravi a quei ragazzi la morte a casa c'erano i loro bambini che si erano appena addormentati che si aspettavano di vedere i loro papà il giorno dopo come tutti i giorni? Lo sai che c'erano madri, fidanzate e mogli che in quel preciso momento stavano pensando a loro? E stavano pensando se magari potevano avere troppo freddo là fuori? Non sono dei mostri come li dipingete. Ma sono persone. Le stesse persone che chiamate a tutte le ore se avete bisogno di aiuto, e loro anche se voi gli augurate le morte vengono ad aiutarvi: perché hanno giurato di esserci, e quella divisa che tanto odiate rappresenta anche questo. C'è chi della propria divisa ne fa un abuso, come ovunque c'è la mela marcia e sono concorde nel punirlo adeguatamente secondo le leggi, ma non per questo bisogna augurare il male a tutti coloro che indossano una divisa. Perché io nonostante tutto non auguro del male a nessuno e mai lo farò, perché mi hanno insegnato il rispetto per la vita di tutti. Così, cara prof, ora vai e guarda negli occhi tuo padre e tuo marito/compagno/ fidanzato che sia (se ne hai uno), guardali negli occhi e cerca solo di immaginare cosa si possa provare: a sapere che tanta gente come te augura la morte a quegli uomini che per noi sono la vita”.

È vero. Si tratta di uomini, i nostri padri, che per noi sono la vita. Ci hanno generato e insegnato cosa vuol dire il ‘’RISPETTO’’ per il prossimo, per le leggi dello Stato, la Costituzione italiana, la legalità e la ‘’DIVISA’’.

Grazie papà......

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